La differenza tra sostegno psicologico, counseling e psicoterapia ha da sempre creato qualche incertezza, anche agli addetti ai lavori (per esempio agli studenti di psicologia). Addirittura capita che neolaureati in psicologia non abbiano le idee chiare su questa tematica.
Per sgombrare il campo da ogni dubbio, nel 2015, il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) ha pubblicato una declaratoria che definisce le attività caratterizzanti e gli atti tipici di psicologi e psicoterapeuti. La declaratoria del 2015 è stata poi integrata da un documento del 2020 dedicato al counseling.
Il sostegno psicologico rientra tra gli “atti tipici e riservati” che caratterizzano la professione dello psicologo, insieme alla prevenzione, alla diagnosi, agli interventi di abilitazione-riabilitazione e al counseling. Ma in cosa consiste esattamente?
Secondo il CNOP, il sostegno psicologico è un’attività di supporto al «benessere della persona, del gruppo o di una istituzione. Il sostegno psicologico si realizza quindi in tutti quei casi entro i quali si ritiene opportuno garantire continuità e contenimento ad una data condizione. Il sostegno psicologico può ad esempio seguire ad un intervento riabilitativo con il fine di rinforzare, solidificare, i risultati ottenuti; ed è opportuno in quelle condizioni irreversibili e/o croniche entro le quali svolge una importante funzione di contenimento e tutela (si pensi ad es. alle patologie degenerative), anche per coloro che le vivono indirettamente».
Dunque il sostegno psicologico è un intervento mirato a contenere il malessere e potenziare al massimo il benessere del cliente (singolo, coppia, famiglia o gruppo), date certe risorse e in un dato contesto caratterizzato da ben precisi fattori di rischio e fattori protettivi.
A questa definizione va aggiunto che nel sostegno psicologico non c’è finalità di cambiamento: è un intervento che supporta il cliente nel suo sforzo di adattarsi a eventuali circostanze indesiderate. La prospettiva temporale è il presente; se l’intervento funziona, i benefici non si fanno attendere.
In che cosa differisce la psicoterapia dal sostegno psicologico?
Prima di tutto, mentre il sostegno psicologico è un’attività che caratterizza la professione di psicologo, la psicoterapia caratterizza la professione di psicoterapeuta.
Il documento del CNOP definisce la psicoterapia come «attività rivolta alla risoluzione dei sintomi, e delle loro cause, conseguenti a psicopatologia, disadattamenti, sofferenza».
Questa descrizione è piuttosto complessa. Suggerisce che la psicoterapia sia da impiegare in parecchie situazioni: psicopatologia, disadattamento, sofferenza. A rigore, sarebbe soprattutto da pensare come trattamento idoneo in presenza di una patologia, perché non dovrebbe esserci psico-terapia se non c’è una psico-patologia da curare.
Secondo il DSM V, c’è psicopatologia non solo e non tanto in presenza di sintomi, ma in presenza di «disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti» (p. 23). Se il sintomo non impedisce il funzionamento scolastico, lavorativo, sociale, allora anche in presenza di sintomi non è detto che si debba ricorrere alla psicoterapia, potrebbe essere sufficiente il sostegno psicologico.
Il paradosso è che, quando invece siamo in presenza di sintomi tali da compromettere una o più aree di vita, e dunque siamo in presenza di vera e propria psicopatologia, la psicoterapia è sì, indicata, ma non da sola: il protocollo suggerito in questi casi è l’integrazione di psicoterapia e psicofarmacoterapia. Dunque, ricapitolando:
- Sintomi senza compromissione del funzionamento -> sostegno psicologico
- Sintomi con compromissione del funzionamento -> terapia integrata (psicoterapia + psicofarmacoterapia)
Come si vede, se si ragiona partendo dal sintomo, il ruolo precipuo della psicoterapia non emerge con chiarezza. Se invece di partire dai sintomi ci focalizziamo sul target dell’intervento, tutto diventa molto più chiaro:
- Sostegno psicologico: agisce sui sintomi (quando lievi, senza compromissione del funzionamento)
- Psicofarmacoterapia: agisce sui sintomi (quando gravi e disabilitanti)
- Psicoterapia: agisce sulle cause dei sintomi (sia lievi, sia gravi)
L’obiettivo della psicoterapia è il cambiamento. In questo, la differenza tra psicoterapia e sostegno psicologico è lampante. Per essere ancora più precisi, potremmo dire che l’obiettivo della psicoterapia è il seguente: identificare le radici del disagio del paziente e avviare un processo di cambiamento che porti in tempi medio lunghi a rimuovere tali radici o a neutralizzare il loro potere di produrre malessere.
Il counseling è un intervento d’aiuto su cui bisogna spendere qualche parola in più. Esistono infatti almeno due accezioni principali con cui possiamo impiegare questo termine.
Nella prima accezione, che è quella adottata dal CNOP, il counseling è una delle attività che caratterizzano la professione di psicologo. Nello specifico, si tratta di un intervento consulenziale che in genere precede sia la diagnosi, sia l’eventuale trattamento psicoterapeutico. A cosa serve? Principalmente ad analizzare la domanda e a decidere quale sia la proposta più idonea da fare al cliente. Come esito di una consulenza psicologica, infatti, il professionista può: ritenere di aver soddisfatto il bisogno del cliente e dunque considerare esaudita la domanda d’aiuto; inviare il cliente ad altro specialista (psichiatra, sessuologo, educatore, terapeuta di coppia, ecc.); proporre al cliente un percorso di sostegno psicologico; proporre al cliente un percorso psicoterapeutico.
Di counseling esiste una seconda accezione non contemplata dal CNOP. Questo secondo significato si ricollega alle origini stesse del counseling, quando Carl Rogers lo introdusse nel panorama terapeutico internazionale con pari dignità rispetto agli altri orientamenti terapeutici dell’epoca (psicoanalisi e comportamentismo). In questa accezione, il counseling è da considerare un vero e proprio intervento psicoterapeutico, non “solo” consulenziale, e come tale è una delle attività che caratterizzano la professione dello psicoterapeuta. I nomi con cui il counseling inteso come approccio psicoterapeutico è conosciuto in ambito internazionale sono molteplici: terapia centrata sul cliente, terapia non direttiva, terapia rogersiana.
In definitiva, le differenze tra sostegno psicologico, counseling e psicoterapia possono essere schematizzate così:
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*Si noti che, secondo il CNOP, solo uno psicologo può esercitare il counseling (inteso come consulenza
psicologica). Di conseguenza, chi esercita attività di counseling senza essere uno psicologo commette il
delitto di esercizio abusivo della professione di psicologo. Il CNOP può sostenere una simile affermazione in
tutta tranquillità, per una serie di ragioni dettagliatamente illustrate e argomentate nel documento del 2020.
Non è sempre stato così. Fino a pochi anni fa, infatti, la nostra griglia sarebbe probabilmente apparsa così:
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In questa versione, che, ripetiamo, oggi sarebbe ferocemente osteggiata dal CNOP, compare la figura del counselor. Si tratta di un professionista che ha ricevuto una formazione specialistica in counseling e che risulta iscritto a una delle associazioni nazionali dei counselor professionali.
Nonostante la vittoria del CNOP contro i counselor-non-psicologi, la verità è che gli psicologi-non-counselor non possiedono le competenze teorico-pratiche dei counselor professionali.
Questo fatto andrebbe evidenziato nella griglia, che a questo punto si trasforma nella seguente:
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**Secondo il CNOP, qualsiasi psicologo può attuare interventi di counseling. L’unica competenza richiesta è infatti quella di saper «integrare, in ottica di sistema, l’analisi della domanda (che non coincide tout court con la richiesta esplicita del committente, ma presuppone un’attività di decodifica dei significati impliciti nella stessa) con competenze teorico-tecniche e strumenti operativi fondati su teorie psicologiche». E questa è una competenza che, almeno in teoria, ogni psicologo dovrebbe possedere. Va da sé, tuttavia, che la situazione più auspicabile è che la consulenza psicologica venga effettuata da professionisti specificamente formati e addestrati come counselor.



Martin Luther King, che ha reso celebre la poesia di Malloch citandola spesso nei suoi discorsi, ci offre esempi presi dalla vita di tutti i giorni. Forse volevamo diventare dirigenti e siamo rimasti funzionari: allora possiamo diventare i migliori funzionari che si siano mai visti. Forse sognavamo di fare il medico e oggi siamo infermieri: ma possiamo diventare i migliori infermieri che ci siano in circolazione. Magari sognavamo di avere tanti figli ma non abbiamo potuto averli: potremmo cercare di diventare i migliori insegnanti del nostro paese o della nostra epoca. Oppure “generare” qualcosa di diverso dai figli: un libro, un edificio, un’azienda, una app per smartphone.
Guardi un video su youtube e sembra tutto facile. Bisogna preparare biscotti di pasta frolla a forma di gambi e separatamente biscotti a forma di teste di fungo. Per attaccare i gambi e le teste serve della glassa trasparente. E poi altra glassa al cioccolato per la copertura delle teste. Questo è quello che si impara guardando la videoricetta. Chiamiamolo apprendimento di primo livello.

Un simile discorso risulterebbe quanto meno indigesto a chi ha bisogno di risposte semplici e veloci. Il problema diventa allora: come coniugare l’incertezza di chi studia la realtà, e dunque maneggia complessità, e non dispone di alcuna certezza oggettiva, con le necessità improcrastinabili di chi deve comunicare qualcosa di comprensibile alla gente comune, peraltro senza diffondere il panico, come i giornalisti, e di chi deve prendere delle decisioni di insuperabile importanza, come ministri e governatori?
Veniamo al nucleo logico della complessità. Questo secondo nucleo è costituito dal Principio di Complementarietà. In questo caso, non si tratta di una scoperta empirica quanto piuttosto di una riflessione filosofica intorno al concetto stesso di “complessità”. Etimologicamente, mentre complicato è ciò che ha dei plichi, delle pieghe, e dunque può essere s-piegato, complesso è ciò che ha dei plessi, dunque degli intrecci, dei grovigli, che rimandano a qualcosa impossibile da s-piegare. Edgar Morin ha riformulato la presenza di tali plessi in termini di multidimensionalità. Detto nel modo più semplice possibile, complesso è tutto ciò che, per essere compreso, va necessariamente guardato da punti di vista diversi, ovvero considerando diverse dimensioni o fattori. Non solo: ciò che si osserva da una prospettiva, o considerando un certo fattore, può apparire in contraddizione con ciò che si osserva da altri punti di vista, o considerando altri fattori. In realtà non c’è alcuna “vera” contraddizione: il Principio di non contraddizione è sempre valido, solo che vale esclusivamente entro ciascuna dimensione; non ha alcun senso e alcuna validità se applicato in modo trasversale. In altre parole, eventuali aspetti conflittuali si escludono a vicenda intra-dimensionalmente; sono invece complementari tra loro inter- e trans-dimensionalmente.
Perché dai due nuclei della complessità emerge l’immagine di un mondo in cui bisogna imparare a convivere con la contraddizione, nel quale quando si cambia prospettiva insorge il dubbio, un dubbio non eliminabile a meno che non si decida di guardare le cose col paraocchi; un mondo in cui bisogna imparare a vivere all’ombra del caos, costantemente sul bordo del precipizio, con la consapevolezza che un passo falso è sempre possibile, che non esistono certezze e che l’unico modo di allontanarsi dal pericolo sarebbe allontanarsi da ciò che rende la vita degna di essere vissuta: l’originalità, la creatività, le differenze, i cambiamenti e soprattutto la libertà.
Nel momento in cui la vita ha fatto la sua comparsa, ha portato con sé un problema prima di allora del tutto sconosciuto: garantire la sopravvivenza del genoma. Questo problema, come si sa, ne comporta innumerevoli altri: per far sopravvivere il proprio genoma, i sistemi biologici devono sopravvivere sufficientemente a lungo; in altre parole, devono imparare a sopravvivere anche come individui e non solo come specie. Ciò significa acquisire la capacità di competere tra loro per procacciarsi le risorse migliori – o le uniche disponibili, in caso di penuria; ma anche di cooperare, se è funzionale alla riduzione dei rischi ambientali; di diventare predatori e non prede; di sfuggire ai predatori quando invece si è prede; di attrarre i partner quando è arrivato il momento di riprodursi; devono imparare a risolvere questi e innumerevoli altri problemi. I problemi della biosfera sono profondamente diversi dai problemi che i sistemi fisico-chimici affrontano per adattarsi all’ambiente fisico-chimico: richiedono strategie evolutive altamente sofisticate e, essendo fittamente intrecciati gli uni con gli altri, rendono l’esistenza dei sistemi biologici un’attività di problem solving a tempo pieno.
Esempi della Legge di Corrispondenza sono sotto gli occhi di tutti: i sistemi biologici sono molto abili a risolvere i problemi complessi del loro ambiente naturale. Pensiamo agli animali in libertà quando devono procacciarsi il cibo o allevare i loro cuccioli. Sanno farlo veramente bene. Immaginiamo ora di voler progettare una macchina per eseguire gli stessi compiti – non in un ambiente virtuale semplificato, ma nell’ambiente reale – tenendo conto di tutte le possibili variabili, di tutti gli imprevisti possibili. Una prestazione facile, naturale, per i sistemi biologici si rivela praticamente insormontabile per i sistemi artificiali. Al contrario, quando un sistema biologico è alle prese con un problema altamente complicato, le prestazioni si invertono. Pensiamo a quanto sia difficile per un essere umano, un ragazzo o un adulto, imparare la matematica, la statistica, la meccanica quantistica. A quanto sia difficile risolvere un’equazione a mente o anche solo convincersi che tirando una moneta non truccata, dopo numerosi lanci in cui è sempre uscita testa, al lancio successivo la probabilità che esca croce non è maggiore di quella che esca per l’ennesima volta testa. Quando affidiamo questo genere di calcoli a un computer, ci sembra di poter dire che abbia meno incertezze di noi. Ma se invece consideriamo l’ironia, oppure la capacità di ragionare usando il buon senso o tenendo conto del contesto, allora le parti si scambiano di nuovo: ciò che è automatico e ovvio per un essere umano, è incredibilmente difficile per una macchina. Potremmo andare avanti riempiendo centinaia di pagine con esempi altrettanto inequivocabili.
Ognuno di questi quattro regimi dinamici ha vantaggi e svantaggi e può essere funzionale o disfunzionale a seconda delle condizioni ambientali. Per esempio, se un sistema si trova in un ambiente estremamente mutevole, adottare un regime dinamico rigido e ripetitivo risulterà certamente disfunzionale e disadattivo. Ma vale anche il contrario: approcciare problemi semplici e lineari con troppa immaginazione e creatività può rivelarsi altrettanto inadeguato.

In casi come questo, in cui la traiettoria è ciclica, si può affermare che l’attrattore nello spazio degli stati sia l’orbita a cui la traiettoria tende e sulla quale si stabilizza.
L’attrattore nello spazio degli stati del pendolo è lo stato stabile (0, 0) in cui angolo e velocità sono nulli.