I dati ufficiali dicono che, tra le persone Covid-positive, nel mondo ci sono stati 30 mila decessi dall’inizio della pandemia. Più di 10 mila solo in Italia. Di fronte a questi dati, soprattutto considerando che misurano solo la punta dell’iceberg, è veramente difficile riuscire a pensare a qualcosa che non abbia a che fare con il Coronavirus. Tuttavia oggi vogliamo provare a farlo. Proviamo a pensare a qualcosa di diverso, che ci tornerà utile quando l’emergenza sarà finita e si tornerà alla normalità (quale normalità, in questo momento, nessuno può saperlo).
Vogliamo parlare di uno dei più frequenti e condivisi inviti che vengono dati a chi desidera migliorare il proprio approccio alla vita e incrementare il proprio benessere psichico. L’invito è quello di imparare a stare nel presente. Ce lo consigliano psicologi e filosofi, chi pratica la meditazione, i maestri di vita, i counselor e i life coach. Cosa significa vivere nel presente? Significa dare valore a quello che c’è nel qui-e-ora, senza vivere aspettando quello-che-non-c’è-ancora. La vita è un viaggio: vivere nel presente significa dare valore al viaggio, cioè appunto alla vita, e non alla mèta, anche perché, se la vita è un viaggio, la sua mèta finale è la nostra dipartita. Terapeuti e saggi di ogni sorta ci raccomandano di non vivere aspettando: aspettando il weekend, le ferie o che torni qualcuno che se n’è andato. Frequente, ma sbagliato, è svalutare quel che c’è, al motto di “ora è così, ma verranno tempi migliori”. È un errore rimandare la felicità a “quando i bambini saranno più grandi”, “quando ci trasferiremo nella casa nuova”, “quando mi daranno la promozione” o “quando sarò in pensione”. Lo dice anche Baglioni: la vita è adesso. Non dobbiamo pensare che staremo meglio “dopo”. Chi non è capace di vivere nel presente è sempre spostato in avanti: desidera la felicità, ma afferma che ora non gli è proprio possibile realizzarla. Il momento della felicità è sempre dopo qualcosa. Il problema è che questo qualcosa è l’unica certezza che abbiamo: il nostro adesso. E la vita non è altro che una successione di “adesso”. Ci viene detto che passato e futuro sono illusioni. Perché? Perché quando eravamo nel passato, in quel momento non era passato, era il nostro presente di allora. Analogamente, quando il futuro arriverà, per noi sarà comunque presente. Per cui, in realtà, noi possiamo esistere solo nel presente; imparare a dare valore al presente significa dunque imparare a dare valore all’unica dimensione possibile della nostra stessa esistenza. Sembra un discorso pulito e incontrovertibile. Eppure. Eppure in questa visione c’è qualcosa che non quadra.
Educatori, genitori e insegnanti non hanno sempre detto che “vivere alla giornata” è una cosa negativa? Vivere alla giornata significa vivere senza uno scopo, senza un progetto di vita. Chi vive così, prende la vita come arriva, senza lottare per qualcosa che non c’è ancora ma che è là, da qualche parte nel futuro. Secondo gli psicoanalisti Miguel Benasayag e Gérard Schmit, gli adulti della nostra generazione hanno interiorizzato l’idea che il futuro sia pieno di minacce; a causa di questa convinzione, figli e studenti non vengono più educati a coltivare i propri desideri ma, attraverso predizioni e prescrizioni, a prevenire i pericoli: «Se gli adulti si esprimono in termini di minaccia o di prevenzione-predizione, è senza dubbio perché pensano che quella attuale non sia un’epoca propizia al desiderio e che occorra innanzitutto occuparsi della sopravvivenza. E poi, si dicono, “per quel che riguarda il desiderio e la vita, si vedrà dopo, quando tutto andrà meglio”. Ma è una trappola fatale, perché solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare dei legami e di comporre la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastro». L’alternativa a questa trappola fatale è assumersi la responsabilità del proprio destino. In che modo? Smettendo di desiderare quello che si trova e cominciando a cercare quello che si desidera. Ma questo significa non accontentarsi del presente ma desiderare, cercare, progettare e costruire qualcosa che è nel futuro.
Dunque cosa dobbiamo fare? Cosa dobbiamo dire ai nostri clienti? Di vivere nel presente, imparando ad apprezzare quello che c’è nel qui-e-ora, oppure di progettare il futuro, alimentando il desiderio di quello che non c’è ancora? Chi conosce la psicologia della complessità non farà fatica ad accorgersi che la questione, così formulata, è mal posta. Le abbiamo dato la forma di un AUT – AUT. La psicologia della complessità ci insegna a ragionare in termini di ET – ET. Vediamo nel concreto come si declina la mentalità dell’ET – ET in questa specifica circostanza.
Rappresentarsi il futuro come minaccioso alimenta la nostra paura e la paura paralizza. Un’alternativa alla paralisi è provare a pensare al futuro come a qualcosa di incerto. L’incertezza apre alle possibilità, quelle negative ma anche quelle positive. Queste possibilità positive sono non solo pensabili, ma anche desiderabili. Il desiderio che una delle possibilità positive del futuro si realizzi va nutrito, alimentato. Il desiderio è l’opposto della paura: la paura ci tiene fermi, mentre il desiderio ci fa muovere, ci spinge verso la mèta desiderata. Quando il desiderio supera la paura, siamo in grado di muovere il primo passo.
A questo punto abbiamo mosso il primo passo verso un obiettivo che è là in lontananza, nel futuro. Ma noi siamo qui, nel presente. A ogni passo incontriamo ostacoli, stimoli, imprevisti e opportunità. Nel fare questi incontri diventa importante saper vivere nel presente, dando valore a tutto ciò che incontriamo. Può anche succedere che, in seguito a qualcuno di questi incontri, cambi la mèta verso cui stavamo andando. Il nostro desiderio potrebbe spostarsi verso nuovi obiettivi. Non c’è nulla di sbagliato: l’importante è che ci sia sempre un traguardo verso cui andare. Ma il senso e il valore di questo traguardo non deve togliere importanza al cammino, anzi è vero esattamente il contrario; abbiamo bisogno di una destinazione per metterci in viaggio e muovere il primo passo. Ma è quello che incontriamo strada facendo che conta davvero.