Un bel giorno decidi di fare i biscotti a forma di funghi porcini.
Guardi un video su youtube e sembra tutto facile. Bisogna preparare biscotti di pasta frolla a forma di gambi e separatamente biscotti a forma di teste di fungo. Per attaccare i gambi e le teste serve della glassa trasparente. E poi altra glassa al cioccolato per la copertura delle teste. Questo è quello che si impara guardando la videoricetta. Chiamiamolo apprendimento di primo livello.
Poi ti metti lì e le cose si complicano. I dettagli, i particolari non spiegati nel video, tutto sembra ti remi contro. Quanto devi tenere sul fuoco sta maledetta glassa trasparente? La consistenza non è come nel video. Quanta ne serve affinché gambi e teste si attacchino tra loro? Quanto ci mette a indurirsi? E quella al cioccolato? Come mai nel video rimaneva sulle teste e invece ora cola tutta lungo i gambi? Insomma, la verità è che devi prenderci un po’ la mano. Serve pratica. Rifai i biscotti a forma di funghi porcini altre due o tre volte e ogni volta il risultato migliora. Ora, insieme alla conoscenza teorica, hai acquisito una certa competenza pratica. Il risultato è un primo briciolo di padronanza (expertise). Ma non hai acquisito solo questo: in realtà, hai imparato qualcosa anche sull’apprendimento di primo livello: hai imparato che, a guardare i videotutorial, le ricette sembrano tutte più facili di quel che sono. Questo apprendimento è un apprendimento sull’apprendimento: un meta-apprendimento – chiamiamolo apprendimento di secondo livello.
Supponiamo che questa esperienza si ripeta al di là del campo culinario. Guardi un tutorial su come si aggiusta una tapparella o segui delle videolezioni per imparare a fare trucchi di magia come Dynamo oppure a conversare in russo o in giapponese. Tutto si ripete come nel caso dei biscotti. A questo punto subentra un nuovo apprendimento: ti rendi conto che l’apprendimento di secondo livello, che inizialmente riguardava le ricette, può essere trasferito ad altri campi del sapere. Anzi, può essere generalizzato a tutti i domini della conoscenza. Intervenire sul proprio meta-apprendimento, ad esempio effettuando un’operazione di trasferimento o generalizzazione, è quel che chiamiamo un apprendimento di terzo livello.
Cosa ci dice tutto questo? Che mentre impariamo cose, a fare i biscotti o a riparare le tapparelle, contemporaneamente apprendiamo cose sull’apprendimento. In altre parole, mentre apprendiamo, meta-apprendiamo. Non solo: apprendere è l’unico modo per meta-apprendere. Solo durante il lento e faticoso processo dell’apprendimento di primo livello, si attivano i processi meta-cognitivi che ci danno informazioni su quanto ne sappiamo su un certo argomento e che ci consentono di compiere fondamentali operazioni quali ad esempio il trasferimento di competenze e la generalizzazione.
Cosa succede se il processo di apprendimento di primo livello non prende piede? In questo caso si incorre in una duplice conseguenza: il soggetto va incontro alla cosiddetta ignoranza di primo livello, e questo è ovvio; ma oltre a questo si verifica quello che gli psicologi chiamano effetto Dunning-Kruger: ovvero non si attivano i processi meta-cognitivi di cui parlavamo prima. Il soggetto non apprende nulla sul proprio apprendimento, per cui non ha la minima idea di quanto poco conosca la materia. Non si rende conto della propria ignoranza: è la cosiddetta ignoranza di secondo livello, che porta a sopravvalutare la propria competenza. L’effetto finale è ben noto e sotto gli occhi di tutti: le persone più colte sono anche consapevoli di quanto ci sia ancora da scoprire non solo di ciò che hanno studiato ma anche e soprattutto di tutto il resto e questo le rende intellettualmente umili e piene di dubbi epistemici.
Viceversa, chi è inconsapevole della propria ignoranza, non appena sente parlare di un argomento, magari anche solo per sentito dire, si convince di saperne già a sufficienza, o addirittura di saperne quanto chi a quell’argomento ha dedicato una vita intera. Chi non ha la competenza meta-cognitiva per valutare correttamente la propria preparazione crede di poter competere con i veri esperti, o di saperne più di loro. Non è in grado di discriminare fake news da informazioni attendibili, non è in grado di compiere elementari operazioni di fact-checking, è intellettualmente manipolabile, e finisce per confluire in community più o meno organizzate che attendono qualche leader carismatico che condivida le loro istanze anticulturali, confermi le loro angosce paranoiche e li aiuti a individuare un nemico contro cui ingaggiare qualche crociata.
Stiamo parlando dei terrapiattisti? Sì, stiamo parlando dei terrapiattisti, cioè di quanti al giorno d’oggi sostengono cose assurde, incredibili, smentite da tempo immemorabile. Ci sarebbe da ridere se non fosse che due tendenze culturali rendono questo fenomeno sociale meno ridicolo di come potrebbe sembrare di primo acchito.
La prima è l’immane sforzo che scienziati, intellettuali, eruditi e saggi di ogni sorta compiono nell’evitare accuratamente di apparire oscuri, ermetici, chiusi in un mondo autoreferenziale e inaccessibile. Oggi tutti noi, che viviamo nella società della comunicazione, consideriamo un valore positivo il fatto di saper comunicare. Riteniamo che un esperto debba saper comunicare, facendosi capire, anche con i non esperti. Ci aspettiamo che chi padroneggia una disciplina la sappia spiegare anche a un interlocutore del tutto impreparato. Non solo! Che sappia farlo in un video di pochi minuti su Instagram. Che sappia farlo rispondendo alla domanda di un giornalista che deve passare velocemente a qualcun altro, per rispettare i “tempi televisivi”. Cosa produce tutto questo? Una tendenza generale alla semplificazione. Tutti gli esperti si sforzano di semplificare al massimo. Più gli esperti semplificano, più persone cadono vittime dell’effetto Dunning-Kruger. Decine, centinaia, migliaia di persone ascoltano un video in cui un esperto si è sforzato di parlare come fosse in bottega a vender salami e si trovano a credere di saperne quanto – e più di lui.
La seconda tendenza culturale è l’ideologia secondo cui “in democrazia” ogni opinione debba avere lo stesso peso, lo stesso diritto a venire espressa. Uno vale uno è diventata la regola generale che governa la comunicazione di massa della nostra società. Peccato che questo principio così livellante abbia senso da certi punti di vista ma sia disastroso da altre prospettive. Eticamente, per esempio, è ineccepibile: il mio dolore vale quanto il tuo, chiunque tu sia. Ma culturalmente? Siamo sicuri che le affermazioni sul Coronavirus di uno scienziato valgano tanto quanto quelle di un politico con una laurea in giurisprudenza? O quanto quelle di un commerciante intervistato sulle conseguenze economiche del lockdown? A furia di pensare che chiunque parli stia esprimendo solo la propria opinione e che le opinioni di ciascuno siano equivalenti, in alcuni Stati degli USA hanno finito per mettere sullo stesso piano, nei programmi scolastici, darwinismo e creazionismo. Un po’ come mettere sullo stesso piano l’arrivo del solstizio d’inverno e di Babbo Natale.
Se tutte le opinioni sono equivalenti, perché mai l’opinione che la terra sia piatta dovrebbe contare meno di quella che la terra sia sferica?
Quando l’ideologia secondo cui a ogni opinione debba essere dato lo stesso spazio si incontra con l’effetto Dunning-Kruger, il risultato è una vera e propria sciagura per l’intera società. Persone affette da ignoranza di primo e secondo livello hanno la stessa visibilità degli esperti, ma spesso comunicano le loro convinzioni con molta più tracotanza e supponenza dei veri esperti, paradossalmente apparendo più sicure e più convincenti. Bucano lo schermo, in televisione aumenta l’audience, sui social i loro followers; più vengono invitati nei programmi, più aumentano le visualizzazioni, e si crea un circolo vizioso dai contorni inquietanti.