Chi bussa alla porta dello psicologo?

Il 10 ottobre è stata una ricorrenza importante sia a livello mondiale, sia a livello nazionale. L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la dedica ogni anno alla salute mentale; in Italia si è celebrata inoltre la Giornata Nazionale della Psicologia. Un po’ dappertutto, in particolare online, ci sono stati convegni, dibattiti, meeting dedicati al tema del benessere psicologico.

Sulla scia di questi spunti di riflessione, oggi vorremmo porci delle domande che solo apparentemente sono banali: quando qualcuno si rivolge a un professionista per un percorso di supporto psicologico o una psicoterapia, cosa sta cercando? E cosa trova?

Semplificando al massimo, potremmo dire che si cerca l’aiuto di un professionista della salute psicologica quando nella propria vita si è verificato un cambiamento; di questo cambiamento si può essere più o meno consapevoli, ma di certo si sono verificati degli effetti che in una certa misura sono stati destabilizzanti. Quali sono i cambiamenti destabilizzanti che spingono a chiedere l’aiuto psicologico?

Lo psicoanalista e psicosociologo Renzo Carli è l’autore che ha creato, insieme ai propri collaboratori, quello che probabilmente è stato il modello che più ha influenzato la psicologia nel nostro paese negli ultimi 40 anni: l’Analisi della domanda.

Secondo questo modello, ognuno di noi vive immerso in un sistema sociale con altre persone, con le quali condivide una serie di interpretazioni simboliche, emotivamente pregne, chiamate “collusioni”. Sono i cambiamenti che mettono in crisi queste condivisioni (fallimento collusivo) che possono far nascere nelle persone il bisogno di rivolgersi a uno psicologo.

Secondo l’Analisi della domanda, gli obiettivi di chi si rivolge allo psicologo possono essere di due tipi: ortopedici o di sviluppo.

Usando questa distinzione come traccia, e integrandola con l’esperienza personale di chi scrive, possiamo suddividere la maggioranza dei clienti in tre gruppi.

Vediamoli uno per uno.

Il primo gruppo, di gran lunga il più numeroso, è costituito dai clienti aventi l’obiettivo che Renzo Carli chiama ortopedico.

Questi clienti ritengono che gli effetti del cambiamento avvenuto nella propria vita siano inaccettabili, o insopportabili. Evidentemente il cambiamento ha generato un profondo malessere esistenziale o una grave sintomatologia psichica. La richiesta esplicita che tali clienti rivolgono al professionista è di aiutarli a eliminare il sintomo, il malessere, il problema dalla loro vita. Velocemente e senza tante storie. Spesso non sono interessati a capire il perché o il per come di quanto accaduto. Vedono lo psicologo come un esperto, un risolutore di problemi. Sono disposti a pagare il costo della seduta, purché si arrivi prima possibile a una soluzione ben precisa, che hanno chiara in mente: la scomparsa o quanto meno la remissione del sintomo.

È molto interessante andare a vedere cosa dice l’Analisi della domanda della richiesta implicita di questi clienti. Secondo Renzo Carli e collaboratori, i clienti di questo primo gruppo implicitamente si aspettano che lo psicologo li aiuti a eliminare non solo il sintomo, inteso come effetto del fallimento collusivo, ma il cambiamento stesso che si è verificato nelle loro vite. In altre parole, la richiesta implicita, di solito inconscia, è quella di essere aiutati a ripristinare le vecchie collusioni.

Se lo psicologo, più o meno inconsapevolmente, accetta non solo la richiesta esplicita, ma anche quella implicita, il risultato del percorso sarà dunque di tipo regressivo. Il cliente verrà aiutato a tornare a una condizione di minor malessere, è vero, ma al prezzo di ricreare nel presente una porzione più o meno ampia del passato. Fatto, questo, assai discutibile.

Dal punto di vista metodologico, infine, accettare la domanda implicita del cliente rischia di ridurre il sostegno psicologico o la psicoterapia a una somministrazione di tecniche psicologiche o psicoterapeutiche.

La seconda tipologia di clienti, nell’esperienza di chi scrive la meno numerosa tra le tre, è rappresentata da chi si pone quelli che nell’Analisi della domanda vengono definiti obiettivi di sviluppo.

In questo caso, la richiesta esplicita non è l’eliminazione del sintomo. A volte, la domanda che pone il cliente è di essere aiutato a scoprire le cause profonde del proprio malessere. Altre volte, la richiesta esplicita è di capirsi o conoscersi meglio. Qualche volta, l’obiettivo esplicito è quello di essere aiutato a cambiare in qualche aspetto o semplicemente a migliorare il proprio carattere.

Siamo dunque di fronte a una reazione del tutto diversa dalla prima. Anche in questo caso nella vita del cliente c’è stato un cambiamento che ha prodotto degli effetti. Ma invece di annullare il cambiamento che è già avvenuto, il cliente desidera trasformare questo evento inatteso e forse indesiderato in un’occasione per produrre un ulteriore cambiamento, a livello personale.

Qual è la richiesta implicita in questo caso? Secondo l’Analisi della domanda, essere aiutato a instaurare nuove collusioni, nel senso di simbolizzazioni affettive condivise, diverse da quelle del passato; in parole molto semplici: implicitamente il cliente desidera essere aiutato a trovare un nuovo equilibrio entro il proprio sistema di relazioni e di simbolizzazioni condivise.

Ancora più interessante è andare a vedere qual è la richiesta implicita di questi clienti secondo altre prospettive. Pasquale Busso, pioniere della “psicoterapia sistemica della persona”, ritiene che il bisogno implicito sia quello di essere aiutati a effettuare un cambiamento d’identità. Cosa significa? Significa essere accompagnati in un percorso che ha come fine ultimo quello di identificarsi non più con l’Io cosciente, che è solo una delle parti del Sé, ma con un Sé allargato che comprende molte altre parti precedentemente frammentate e rifiutate.

In quest’ottica, il bisogno implicito (e di solito inconsapevole) del cliente non è quello di eliminare il malessere ma, poiché il malessere psicologico è una parte del suo Sé, riuscire a integrarlo insieme alle altre parti che andranno a costituire la sua nuova identità ampliata.

Con questi clienti, il percorso non è semplice né veloce. Ma quando tutto procede nel modo migliore, il risultato è evolutivo e non regressivo. In altre parole, il cliente è andato verso il futuro e non verso il passato.

Dal punto di vista metodologico, il percorso è completamente diverso rispetto al primo caso. Mentre nell’approccio centrato sul sintomo il cliente si identifica con l’Io e viene aiutato a eliminare il sintomo inteso come altro-da-Sé, nell’approccio finalizzato al cambiamento personale il cliente viene aiutato a indebolire la propria identificazione con l’Io e a instaurare un dialogo con il sintomo inteso come parte-di-Sé. Quando il sintomo non è presente, eventualità possibile con questa seconda tipologia di clienti, il dialogo si svolge tra le varie parti del Sé. Attraverso il dialogo, le varie parti del Sé si comportano come fossero soggetti: instaurano relazioni che facilitano l’integrazione fra loro. Infine, il cliente viene aiutato a identificarsi con la totalità delle parti del Sé finalmente in relazione e integrate tra loro.

Lo psicoterapeuta e analista bioenergetico Christoph Helferich nota giustamente che intendere la psicoterapia come un percorso di ricerca di senso e cambiamento personale la avvicina sorprendentemente alla ricerca filosofica: «In questo senso la psicoterapia può essere vista come una trasformazione radicale e moderna dell’originaria esortazione di Socrate a esaminare la propria vita, rendendola con ciò degna di essere vissuta. […] Questo esame della propria vita procede su due livelli: da un lato su quello della riappropriazione di parti del sé disperse, di forme affettive, corporee ed espressive represse nel corso della socializzazione; dall’altro lato sul livello dello smantellamento e della correzione di strutture difensive che producono un “falso Sé”, nonché una immagine distorta del mondo della vita. Questo tipo di esperienza però richiede un continuo confronto con la propria paura di fronte al cambiamento» [Helferich, C. (2018). Il corpo vissuto. Roma: Alpes Italia, p. 89].

È abbastanza evidente che in un percorso di questo tipo lo psicologo non svolge affatto il ruolo dell’esperto fornitore di soluzioni. Il percorso non è mai predeterminato. Le risposte – a volte anche le domande – vengono cercate insieme da cliente e professionista e, quando emerge qualcosa che assomiglia a una risposta, è facile rendersi conto che in realtà non è stata “trovata”, ma “co-costruita”.

Nell’esperienza di chi scrive esiste un terzo gruppo di clienti, in termini quantitativi intermedio tra i primi due, che va ad aggiungersi a quelli evidenziati dal modello dell’Analisi della domanda.

Potremmo definire “omeostatico” l’obiettivo di questo terzo gruppo. Si tratta di clienti la cui richiesta esplicita di solito è quella di potersi sfogare. A differenza dei primi due gruppi, in questo caso non ci sono stati cambiamenti destabilizzanti nelle vite di questi clienti, o meglio: ci sono stati ma gli effetti si sono ormai sedimentati. Tuttavia questi clienti non hanno elaborato i cambiamenti e dunque continuano a stare male o quanto meno a non trovare pace. Allo stesso tempo, però, il loro malessere non è acuto come quello dei clienti del primo gruppo; assomiglia a un malessere cronicizzato, con il quale sembrano essere scesi a compromessi. Usando una terminologia psicoanalitica, sono clienti che vanno dallo psicologo più per evacuare che per cambiare.

La richiesta implicita non è certamente quella di eliminare il sintomo, che forse fornisce inconfessabili vantaggi secondari, né quella di un radicale e profondo cambiamento d’identità, perché intraprendere un simile cammino li spaventa molto più dell’idea di rimanere fermi dove sono, benché a parole se ne lamentino. Dunque il bisogno implicito non può che essere quello di ricevere contenimento. Hanno bisogno di proiettare le proprie angosce in un contenitore umano in grado di riceverle e restituirle loro opportunamente bonificate e neutralizzate.

È chiaro che il percorso con questi clienti non va verso il passato, ma neppure verso il futuro. Le sedute con loro sono tutte molto simili. A volte ripetitive. Si rimane ancorati in una situazione statica, in un eterno presente. Il vissuto dello psicologo può essere di grande frustrazione; a volte il professionista si può sentire come un netturbino che ogni mattina trova i cassonetti pieni degli stessi rifiuti: vero, ma lo psicologo non dovrebbe dimenticare che, se il netturbino smettesse di vuotare i cassonetti, nel giro di pochi giorni la città sarebbe sommersa di rifiuti.

A livello metodologico, con questa tipologia di clienti non si fa un vero e proprio “percorso”. Ogni seduta è a se stante. E fondamentalmente, in ogni singola seduta, a questi clienti si offre uno spazio di “counseling rogersiano”. Questi clienti cercano qualcuno di cui fidarsi, che li ascolti in modo attivo (“Vediamo se ho capito. Mi stai dicendo che…?”), empatizzi con loro e soprattutto da cui si sentano capiti e non giudicati. In verità non hanno neppure bisogno di un professionista della salute psicologica. Se avessero intorno a sé persone totalmente affidabili, che potessero dedicare loro sufficiente tempo di qualità, forse potrebbero anche fare a meno dello psicologo. Ma, in una società in cui tutti vanno di corsa, non è facile trovare qualcuno che ascolti empaticamente, senza l’urgenza di trovare soluzioni, e che non dia consigli avventati. Per cui, meglio rivolgersi a un professionista della relazione d’aiuto.

Due osservazioni per concludere. La prima: la psicoterapia finalizzata all’integrazione delle parti del Sé è un percorso in assoluta sintonia con la psicologia della complessità, che rifiuta le concezioni secondo cui la psiche sarebbe un’entità monolitica, ovvero quelle che Ronald Laing chiama “monadiche”, e adotta invece un modello della mente come un sistema complesso di parti interagenti.

La seconda, decisamente ovvia: i professionisti che credono nella psicologia della complessità sanno bene che nessun cliente, nessun percorso è definitivamente collocabile in una delle tre tipologie che abbiamo descritto. La schematizzazione proposta, come ogni schematizzazione, è un’iper-semplificazione. Molti clienti non possono essere ingabbiati in nessuna tipologia, nemmeno provvisoriamente; altri potrebbero anche sembrare ben inquadrabili, ma non dobbiamo dimenticare che i clienti sono esseri umani, ovvero sistemi dinamici complessi, immersi in un ambiente dinamico complesso: dunque quello che ci sembra un inquadramento verosimile nella seduta di oggi, potrebbe non esserlo più nella seduta di domani.

Chi bussa alla porta dello psicologo?

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