Le democrazie tra paradossi e diritti, limiti e libertà

I provvedimenti presi per contrastare l’epidemia di Coronavirus hanno richiamato l’attenzione degli osservatori sul conflitto tra salute pubblica e libertà individuali. Per tutelare la prima, le seconde sono state drasticamente limitate in Italia e in almeno metà dei paesi del mondo. In Italia non solo ci sono restrizioni alla circolazione e alle attività consentite, ma addirittura i decreti emanati nelle scorse settimane danno ai prefetti la possibilità di requisire strutture private per farne ospedali Covid. Negli Stati Uniti, Trump ha ordinato alla General Motors e alla Ford di produrre ventilatori. Viktor Orbán, il primo ministro ungherese, ha convinto il Parlamento a dargli pieni poteri: il primo ministro ha ora facoltà di governare attraverso decreti, di chiudere lo stesso Parlamento, cambiare o sospendere leggi esistenti e bloccare nuove elezioni. In Cina, Corea del Sud, Singapore e Israele la privacy è stata di fatto sospesa fino a fine emergenza: droni, app e servizi segreti vengono utilizzati per identificare e tracciare i contagiati. Per recarsi in Germania, nel momento in cui scriviamo, gli italiani devono scaricare una app e accettare di farsi tracciare.

Questa situazione ci offre l’opportunità per fare alcune riflessioni sulla democrazia e in particolare sulla complessità del rapporto tra democrazia, libertà e diritti. Non è un segreto che filosofi e pensatori di ogni epoca abbiano spesso evidenziato come le democrazie siano regimi tutt’altro che perfetti. Gli eventi del Novecento hanno drammaticamente dimostrato i limiti delle democrazie. Un esempio per tutti: Adolf Hitler tentò di conquistare il potere una prima volta nel 1923, attraverso un colpo di stato che fallì clamorosamente e gli costò alcuni mesi di galera. Pochi anni dopo, i nazisti salirono al potere grazie a una serie di consultazioni elettorali che li vide passare dal 18% dei consensi, nel 1930, al 44% nel 1933. Benché in quegli stessi anni le SS colpissero con violenza ogni oppositore, è un dato storico innegabile che fu il regime democratico della Repubblica di Weimar a decretare l’ascesa di Hitler. Questo esempio mostra la natura paradossale delle democrazie: per loro natura, non sono immuni dal pericolo che il più antidemocratico dei dittatori venga democraticamente eletto!

Un altro paradosso delle democrazie è stato brillantemente dimostrato dal Premio Nobel Kenneth Arrow. Con il suo famoso Teorema dell’Impossibilità, Arrow ha dimostrato che, dato un insieme di individui che deve operare una scelta tra un insieme di alternative, e poste alcune condizioni formali che possiamo considerare caratteristiche irrinunciabili di qualsiasi elezione democratica, è matematicamente impossibile arrivare a una graduatoria collettiva di preferenze.

Al giorno d’oggi, la maggioranza degli studiosi occidentali considera le democrazie il “minore dei mali”: vi è un ampio consenso sul fatto che si tratti di regimi poco efficienti, ma migliori di tutte le alternative sperimentate finora. Gli esperti di complessità sono parzialmente d’accordo: dal punto di vista della complessità, le democrazie sono sia efficienti, sia inefficienti. Ma esamineremo le democrazie nella prospettiva della complessità in un’altra occasione. Quello che vogliamo fare ora è cercare di capire quali siano i difetti e i limiti delle democrazie. Per farlo, ci faremo aiutare da un brillante saggio di qualche anno fa, ancora molto attuale: Democrazia senza libertà (2003). L’autore è Fareed Zakaria, un giornalista che tiene rubriche per i principali network statunitensi e che nel 2019 è stato definito dalla rivista Foreign Policy “uno dei 10 maggiori pensatori globali degli ultimi 10 anni”.

Prima di esaminare il pensiero di Zakaria, facciamo un passo indietro e chiediamoci: che cosa fa di uno Stato una democrazia? È chiaro che non può essere il semplice esercizio del voto. Il voto, anche se libero e universale, è solo una scelta tra candidati. Ma se i candidati sono tutti incompetenti? Tutti dello stesso schieramento politico? Tutti corrotti? Il voto da solo non basta: l’altro ingrediente indispensabile sembra essere il pluralismo, ovvero la possibilità che ogni orientamento culturale e politico presente nella società possa avere rappresentanti alle elezioni e possa partecipare alla vita pubblica. Adesso ci siamo? Apparentemente sì: libere elezioni e pluralismo, anche da soli, bastano a rendere democratico un paese, almeno sul piano formale. Purtroppo, però, il piano formale non esaurisce di certo la questione. Bisogna quanto meno introdurre un’altra variabile, ovvero quanto i rappresentanti delle varie anime di una società abbiano accesso ai mezzi di informazione e quanto, in definitiva, possano influenzare l’opinione pubblica e l’elettorato. Supponiamo che una delle forze che competono per essere rappresentate in Parlamento abbia il controllo dei mezzi di informazione di massa. Il confronto tra questa forza e le altre sarebbe del tutto sbilanciato a favore della prima. Dunque un altro ingrediente che sembra necessario per una democrazia in salute è l’indipendenza dei mezzi di informazione dalle forze candidate a guidare il paese. Ora che abbiamo individuato gli ingredienti indispensabili per avere una democrazia, chiediamoci quali siano i suoi problemi.

Zakaria ne mette in luce tre che sembrano più gravi di tutti gli altri. Nelle democrazie, i politici che vengono eletti come rappresentanti del popolo assai raramente hanno le competenze necessarie per capire e risolvere i problemi globali che deve affrontare il paese: più spesso sono comunicatori brillanti, abili opinion maker del tutto impreparati a guidare sistemi sociali complessi attraverso strumenti complicati come Leggi e decreti. «Siamo infatti convinti che, pur non sapendo compilare la dichiarazione dei redditi, scrivere un testamento o configurare il nostro computer, siamo perfettamente in grado di approvare leggi».

Un secondo problema delle democrazie è la durata del mandato. È opinione comune che la permanenza al potere dei politici sia inversamente proporzionale a quanto il paese si possa dire democratico. Chi sta troppo a lungo al governo viene assimilato a un dittatore; viceversa, un ricambio ogni manciatina d’anni viene visto come salutare. Purtroppo c’è il rovescio della medaglia: mandati brevi spingono i politici a ignorare sistematicamente i problemi a lungo termine, come l’esaurimento delle risorse e i cambiamenti climatici. Meglio per loro occuparsi di questioni più piccole, ma visibili, eclatanti, meglio ancora se urgenti, che facciano guadagnare consenso in vista delle elezioni successive, che sono sempre dietro l’angolo.

Un altro luogo comune è che, in una democrazia sana, i cittadini devono poter esercitare un controllo sui loro rappresentanti. In realtà, nota Zakaria, quanto più controllo ha il popolo sui politici, tanto più i politici diventano populisti. La conseguenza per i cittadini è quella di venire guidati da governanti che prendono le loro decisioni sulla base dei sondaggi e che evitano come la peste quei provvedimenti impopolari di cui ci sarebbe tanto bisogno e che procurerebbero prosperità nel lungo periodo.

Ai difetti delle democrazie evidenziati da Zakaria ci permettiamo di aggiungere la questione della complessità: anche ammesso che in una società pluralista tutti abbiano uguale visibilità, hanno più probabilità di ottenere consensi quelle forze che propongono letture semplificate dei problemi, ricette semplici (e magari anche efficaci, ma solo nel breve periodo). Dunque, a parità di accesso ai mezzi di informazione, sono favoriti quei politici che fanno leva sui limiti cognitivi delle masse, quelli che si rivolgono alla “pancia” dei cittadini, e sfavoriti quelli che ammettono che non ci sono soluzioni semplici ai problemi complessi e che, non essendo illimitate le risorse, migliorare la condizione di alcuni significa andare contro gli interessi di altri.

C’è un modo per superare i limiti e i difetti della democrazia? La proposta di Zakaria è opposta a quella del filosofo John Dewey, il quale un secolo fa affermava che la «cura per le malattie della democrazia è più democrazia». Secondo Zakaria, quello di cui abbiamo bisogno è di istituzioni meno democratiche. «I governi dovranno compiere scelte impopolari, resistere alla tentazione di fare favori e mettere in pratica politiche di lungo periodo. L’unico modo per riuscirci, in una moderna democrazia, è salvaguardare chi deve prendere le decisioni dalle assillanti pressioni dei gruppi d’interesse, delle lobby e delle campagne politiche – vale a dire dalle pressioni della democrazia».

Nelle situazioni di emergenza, per esempio durante una pandemia come quella in cui ci troviamo attualmente, in genere le persone si dicono pronte a ridimensionare i propri diritti e le proprie libertà, in cambio di una maggiore probabilità che la salute pubblica sia preservata. Ma fuori dalle situazioni di emergenza, pochi sarebbero disposti a sposare le tesi di Zakaria. Anzi, nonostante l’idea diffusa che la democrazia sia piuttosto inefficiente, «la tendenza è ancora quella di democratizzare il più possibile la società». Se ha ragione Zakaria, nel timore di diventare antidemocratici, rischiamo di andare a picco tenendoci stretti la nostra libertà e i nostri diritti.

L’attuale situazione ricorda il dramma di quei pazienti psichiatrici che, in nome del loro diritto all’autodeterminazione, vengono lasciati liberi di sottrarsi ai trattamenti che potrebbero stravolgere in meglio la loro vita. In alcuni casi, la malattia di cui soffrono impedisce loro di accettare le cure che contrasterebbero la malattia stessa e li condanna, ma spesso condanna anche i loro familiari, a una vita di tormenti. Il benessere di questi pazienti è compromesso, ma non la loro libertà. Sono liberi. Liberi di rifiutare le cure, ma anche – per usare un’espressione forte, molto usata in psichiatria – liberi di «marcire con i loro diritti».

Le democrazie tra paradossi e diritti, limiti e libertà

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